Reparto mezzi d'assalto subaquei

Non c’è un paese, nemmeno un villaggio.  Una pace immensa sovrasta le cose e gli uomini, ora come allora.  La pineta, il bosco, la riserva di caccia, le acque del Serchio che ancora oggi si confondono con quelle del mare, l’arenile ancora selvaggio, sono sempre lì immutate nel tempo.   Da qui partirono i cavalieri subacquei di Teseo Tesei per le loro distruzioni tremende.  C’è un detto in Toscana, a proposito del fiume di cui si narra, a significare che una cosa, un oggetto, costa cara: costi più del Serchio ai Lucchesi.  E questo perché i lucchesi, dai tempi dei tempi, sono costretti ad erigere costosi argini per contenere le acque di questo fiume sempre pronte a straripare.  Oggi, però, alla luce dei successi ottenuti dalla X Flottiglia Mas con i suoi operatori, si potrebbe dire: Costi più del Serchio agli inglesi!

Presente alla Palazzina Ufficiali

Presente presso Bocca di Serchio

La storia dei mezzi d’assalto subacquei della Regia Marina, le gesta, i successi e gli insuccessi e il sacrificio di personaggi da epopea hanno visto la luce in questo remoto e schivo angolo di Toscana.  Nel settembre 1939 otto giovanotti si adunarono nella casa del guardacaccia della tenuta dei Duchi Salviati e furono i primi di una numerosa schiera.

Stemma Araldico dei Duchi Salviati

Nel corso degli anni di guerra altri e altri ancora si avvicendarono a riempire i vuoti che gli italici caduti e prigionieri lasciavano tra i ranghi di un’elite fulgida e incomparabile.  Tesei, sempre lui, suggerì la scelta di una base occulta ove iniziare l’addestramento degli operatori subacquei sullo SLC, ovvero la sua creatura (in condominio con Elios Toschi) il Siluro a Lunga Corsa.  Il mezzo andava messo a punto lontano da occhi indiscreti, gli operatori dovevano imparare ad utilizzare il mezzo e farlo proprio e, considerato che l’equipaggio era composto da due persone, dovevano maritarsi in una sorta di triangolo: io, lui (l’altro operatore) e il maiale.

MOVIMENTAZIONE DI UN SLC PRESSO BOCCA DI SERCHIO

Tesei pervenne alla scelta di questa zona dopo un accurato studio della costa, in base a tre principi ispiratori: la vicinanza a La Spezia e al suo Arsenale; la riservatezza che la tenuta di caccia offriva: una proprietà privata facilmente circoscrivibile dato che a sud confinava con la tenuta Reale del San Rossore e che al nord gli accessi erano confinanti con l’area del Balipedio di Viareggio, un’altra area interdetta al transito e sorvegliata.  Infine, le caratteristiche del Serchio, un fiume che alla sua foce è sempre ricco d’acqua, che è largo circa 80 metri, che ha gli argini netti ed è profondo quanto basta per consentire, in ogni stagione, la navigazione di piccoli battelli come le bettoline.  Le bettoline sono delle barche da carico che avrebbero movimentato i mezzi d’assalto durante le varie operazioni di approntamento da e per la sponda del fiume.

Il fondale marino, poi, prospiciente alla foce, aveva un andamento regolare e per avere una profondità di venti metri bisognava spingersi due miglia al largo, una cosa estremamente utile per gli allenamenti svolti diuturnamente.    Infatti due bettoline, per tutto il periodo, sostarono lungo il fiume, a circa mezzo miglio dalla foce, in mezzo a folti canneti che costituirono il nascondiglio loro e degli SLC.   Venne anche eretta una minuscola costruzione, bianca di calce, con le funzioni di ripostiglio e di area di caricamento delle bombole (Visibile nella foto sottostante).

Insomma, anche in questo caso nulla che potesse attirare l’attenzione o dare nell’occhio e, tranne le bettoline, il paesaggio è ora quello di quegl’anni.  Due maiali, poi quattro, arrivarono ed il centro di addestramento assunse carattere permanente.  All’inizio il personale subacqueo rientrava a termine esercitazioni alla Spezia poi, acquisita la disponibilità del casotto di caccia, gli operatori poterono trasferirsi in loco.   Considerato che la franchigia veniva spesso consumata in quel di Viareggio, fu necessario mantenere un basso profilo, una particolare attenzione ai discorsi che si facevano in pubblico e vestire al di fuori della tenuta di caccia sempre e solo ordinari abiti borghesi.   Fu un successo, dato che per tutta la durata delle operazioni belliche anche l’Intelligence Service non riuscì mai ad identificare la locazione della base segreta dei maiali.

Palazzina Ufficiali ad oggi. In rimo piano un SLC e sulla parete targa della Marina Militare

IL SERCHIO E LA SUA AUREA

Alcuni luoghi, anche senza un particolare motivo, rimangono nel cuore della gente grazie alla loro conformazione geografica, alla magnificenza dei colori che regalano e all’equilibrio che sanno manifestare nel racchiudere in sé quanto l’animo umano spesso cerca e difficilmente trova.  Altri, invece, hanno un fascino tutto loro, un’anima propria che testimonia, naturalmente, ciò che persone speciali hanno connotato, con la valenza e i fatti, al rango di santuari della memoria.  Sono dotati di un’atmosfera propria, di un palcoscenico particolare, dove le amene piccolezze della vita quotidiana si annullano per lasciare spazio allo spirito di chi ha reso famosi questi anfratti con le sue gesta, con la sua determinazione e il suo onore.

La Toscana.  Una terra molto bella e amata da moltissime persone.  Una regione ricca di interessi: dalla storia all’enogastronomia, dall’architettura ai musei di fama internazionale.   Ma è anche una terra dura, che poco regala a chi, amorfamente, approda ai suoi lidi.   Su, al nord della regione dalle parti di Viareggio, vi è un’area abbastanza brulla che arriva sino al mare grazie ad un fiumiciattolo che la accompagna dalla profonda campagna sino alla battima.

Un gruppetto di giovani virgulti sono giunti alle sponde sabbiose del fiume intorno al 1935 e sono uomini comuni, come tanti altri.  Vengono quasi tutti da un’antica scuola militare di solida tradizione e di moderna concezione.   L’accademia Navale di Livorno.   E la vita che vi hanno condotto negli anni della loro tarda adolescenza è stata severa.  Sveglia alle cinque, ginnastica all’aperto, esercitazioni al brigantino, mani callose di fanciulli per l’estenuante contatto con le cime incatramate, giri di barra per punizione e tanta prigione in celle separate per la minima infrazione.  Studio per quattro ore al giorno e lezioni per sei.   Molta matematica, analisi, integrali, astronomia, macchine e motori, fisica, lingue e tante esercitazioni pratiche: dalla voga in mare aperto al lancio di siluri, dal tiro con la pistola alle uscite in mare su unità da guerra, nonché esperienze in laboratorio di chimica, punto astronomico col sestante e tanto sport.  I ragazzi sono sollevati da quasi tutte le preoccupazioni quotidiane.  Una folla di famigli provvede a tutto.   Il vitto è sano e abbondante così che tutte le energie possano essere concentrate nello studio e nello sport.   Con l’estate si ha, però, un brusco cambiamento: i giovani, preso l’imbarco su navi a vela e da guerra, tornano alla gavetta in un tutt’uno con i semplici marinai dell’equipaggio.  La disciplina a bordo è ancora più dura e durante i quattro mesi estivi queste navi girano il mondo.  In questo periodo aleggia a bordo uno spirito internazionale e cosmopolita.  Ma si impara anche che, oltre alla bandiera, altrettanto importante è il senso dell’onore e per difenderlo ogni sacrificio è da ritenersi giusto e necessario.

Diventati uomini, i ragazzi di Livorno, sono giunti al Serchio.  Sono in gran parte tecnici che amano la meccanica e l’astronomia, più delle leggi economiche e una barca a vela, o più di una lussuosa auto.   Di questa apprezzano più il motore che la bella carrozzeria.  Trovano il modesto stipendio un po’ ristretto per tutte le necessità, ma non ne parlano quasi mai, ne sperano in scatti d’anzianità o fulgide carriere.  Vivono, per necessità, un po’ fuori dalla normale concezione della vita.  Sono persone comuni, come tante altre, ma non proprio: nel loro intimo differiscono dai più nel sentirsi ancora, inconsapevolmente, il prodotto, gli ultimi discendenti di un’epoca di splendore che va lentamente morendo.

Ebbene, spesso si è sentito parlare o leggere dello “Spirito del Serchio” anche da chi, non ha proprio alcuna idea o sentore di cosa possa essere.  Si tratta di una sorta di aurea che ha ammantato tutti gli operatori che son passati dal casotto del guardiacaccia della tenuta Salviati: la base segreta del reparto subacqueo della X Flottiglia Mas.  Una nebulosa che li ha avvolti, tutti uniti, in un legame di fratellanza che va oltre a quello del sangue e del DNA.   Un connubio che unisce lo spirito agli ideali in purezza: che unisce le idee agli intenti, ai sacrifici buttando sul piatto della vita tutto, per il bene di un unico e alto fine.  Un fine che non porta denaro, premi o facile fama, ma che gratifica corpo, cuore e anima: corpi, cuori e anime in una dimensione sublime e suprema.

Lo spirito del Serchio, in campo avverso, è stato puntualizzato con un termine molto ben definito e circoscritto: “band of brother” una banda di fratelli particolari che hanno saputo creare qualche cosa che prima non c’era e dopo non ci sarà più.  Qualche cosa di estremo in tutti i sensi, d’élite, riservato ai pochi in grado di meritarlo.  È una sorta di motore e carburante al tempo stesso.   Di fatto un’arma totale fatta di coraggio, determinazione e abnegazione, tutte e tre ai massimi livelli e che permettono di superare ogni limite fisico e personale.

Si diceva che molti ne parlano, anche a sproposito, riempiendosi la bocca di un qualche cosa a loro inaccessibile e precluso.  E per parlarne in maniera compiuta occorre ricorrere alla storia di questo luogo, di questi uomini, ricostruendo i fatti in una sorta di parabola attraverso i loro pensieri, le loro storie; storie di chi ha vissuto questo Spirito sulla propria pelle.  Capire i più disparati sentimenti, le intime emozioni e le ataviche paure che hanno condiviso per il bene del gruppo, della forza armata e della Patria.

Abbiamo già anticipato del loro transito dalla gioventù alla maturità attraverso il viatico dell’Accademia e delle prime esperienze “bagnate”.  Per gli uomini di quel tempo l’imperativo immediato era quello di lottare in ogni campo con coraggio, tenacia e disinteresse personale contro le amenità terrene.  Ma lottare anche per il piacere della lotta, per sentirsi vivi in un mondo sempre più conscio della supremazia materiale dell’uomo su tutto.  E per loro gli eroi erano Galileo, Mazzini, Andersen e Baracca.

Questi sono i pensieri che Elios Toschi ci regala in merito allo Spirito.  È il papà del “maiale” (paternità condivisa con l’amico fraterno Teseo Tesei) e ci dice anche che in quell’epoca ricca di ideali aveva già incominciato a diffondersi una pesante teoria materialistica, il Marxismo che, in nome di una ipotetica e irraggiungibile eguaglianza, tendeva alla distruzione delle basi stesse del “vecchio” modo di concepire la vita.   La lotta era accanita, da una parte si chiedeva sempre più insistentemente giustizia (a volte con ragione) anche a costo di sacrificare alcuni valori spirituali, mentre dall’altra si resisteva, talvolta con una fatale involuzione, in difesa di vecchi privilegi ma con un giusto obiettivo di fondo dedicato a salvare gli ideali posti alla base della vita stessa.  E gli uomini del Serchio non potevano e non rimasero estranei a questa lotta.  Si compenetrano negli ideali più puri ma vedono anche le ingiustizie terrene e spesso sono vicini alle sofferenze dei miseri.   Avvertono, però, anche la spinta demagogica che li sfrutta per fini politici.  Pensano che lo Stato debba avere un ordine, una disciplina, una moralità, ma ritengono che ciò possa avvenire in un quadro che consenta all’uomo, conscio dei propri doveri, di godere della libertà come il dono più prezioso che ci possa essere.

Amano la vita, ma anche le arti, la musica, la buona tavola, la letteratura ed il tempo libero viene ad esse dedicato con passione e spesso si incontrano in franchigia, a Viareggio, nella più antica trattoria locale, quella del Buonamico.  Ecco il quadro che Toschi sin qui fornisce e che dà la vera dimensione umana di questi nostri Eroi che, di fatto, rifuggono da certi classici e vuoti stereotipi.  Di politica, di musica, di letteratura si discute spesso al Serchio.   Si discute più dell’avvenire che del passato.  Ognuno, seppur confinato in questa enclave rivierasca, ha la sua vita privata e intima; eppure sono come fratelli molto più di quelli consanguinei.   Gli Ufficiali, come già detto, vengono da Livorno, gli altri sono pescatori, operai, marittimi formatisi tutti alla scuola palombari della Regia Marina.  Tra i primi e i secondi nessuna differenza morale e materiale: vita comune, stessi sacrifici e ugual privilegi, pochissima disciplina formale ma moltissima sostanziale.  L’ideale che sospinge tutti è che l’uomo matura il suo spirito, vive degnamente le sue esperienze terrene, serve sé stesso e gli altri solo attraverso il proprio coraggio morale e fisico osando il nuovo con metodo, tenacia e meticolosità, cercando ove possibile di bruciare le tappe in ogni campo.

Per gli uomini del Serchio il missionario tra i lebbrosi, il collaudatore di un nuovo velivolo, l’impiegato o il deputato che preferisce perdere il posto pur di non cedere al sopruso sono, pur se su piani diversi, esempi da seguire per la ricerca di una vita ideale degna di questo nome.  Nella lotta fra i due mondi, fra le due visioni, la scelta di questo sparuto gruppo di cavalieri è quasi istintiva: condanna la teoria materialista, pur nella comune aspirazione di una più alta e ampia giustizia sociale e difende ad oltranza tutti i valori permanenti di cui sono tessute le epoche auree della storia.  Questa difesa, però, non può essere fatta tra l’affiorare degli interessi personali e l’ammorbidimento dello slancio primitivo e ideale per la lunga coercizione.  E ancor meno con una rimbombante propaganda che vorrebbe ritemprare lo spirito del popolo prima di avergli dato una cultura ed un’anima.  La difesa dei propri ideali, per gli uomini del Serchio, nell’oro della lotta, può essere fatta in un sol modo: battendosi sino in fondo per la vittoria o anche solo per l’onore delle armi, votati sin dall’inizio a qualunque sacrificio.

Toschi, che un po’ raccoglie i pensieri degli altri, si esprime con parole pesanti verso tutto e tutti, a testimonianza del fatto che Teseo ed i suoi apostoli non erano né invasati, né scudieri di idee altrui.  Per loro la vita era sì preziosa ma solo se connotata e sostanziata da valori e sentimenti.  Essi fanno prevalere questi convincimenti: gli ideali di sempre e la disciplina nell’ora presente.  Pensano che l’azione sia sempre superiore alla critica: si preparano ad agire e lo fanno convinti che il loro sacrificio non sarà inutile.  Se la vittoria verrà gli uomini e le cose cambieranno.  Se, invece, sarà la sconfitta, il mondo che ne scaturirà, pur dopo un periodo di incertezze, dovrà trovare anch’esso i propri ideali e solo allora l’olocausto di questi uomini puri e veri influenzerà le nuove scelte.

Teseo Tesei ripeteva spesso «… per dimostrare ai tiepidi, ai tranquilli, agli inseguitori del solo benessere materiale, agli intrigati della carriera, che il romanticismo del coraggio e della morte vive ancora …».

L’uomo dopo millenni non può certo inventare molto di nuovo nel campo degli ideali.  Se i vecchi miti saranno sconfitti si andrà verso un insieme materialista e ateo, gli uomini resteranno in compagnia delle macchine, del televisore, del frigorifero o del telefonino.  Ad essi gli uomini del Serchio hanno voluto indicare come sia preferibile perdere con l’alleato sbagliato e che sta per soccombere, anziché vincere con l’ex nemico che sta per prevalere.  È anche questa una profonda verità morale che nessuna politica contingente può capovolgere.  Agli uomini di oggi e di domani, quelli del Serchio e Teseo più di ogni altro, hanno voluto lasciare una testimonianza sicura: che alcuni fra quelli che li hanno preceduti hanno saputo e voluto sacrificarsi in circostanze avverse, anche quando la guerra era sicuramente perduta in nome della coerenza, della determinazione e dell’onore.   Di fronte al futuro che avanza e si concretizza, nel quadro di una così gigantesca tragedia quale fu la guerra ancorché rinchiusa fra i canneti del rio viareggino, l’esempio, il messaggio lasciato da questo sparuto gruppo di cavalieri medioevali può sembrare marginale; una piccola cosa.   Invece non è così; è grande, immenso; molto più di quanto si possa pensare.

 

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