I Mezzi d'Assalto 1940/1945

Le seguenti note vogliono fornire uno scorcio del quadro sinottico dei principali mezzi d’assalto in uso alla Flottiglia durante il periodo bellico. Per consentire un’adeguata agilità di lettura verranno fornite le principali notizie e dati tecnici relative ai singoli sistemi d’arma. Al contempo, però, si vuole stimolare la curiosità del lettore ad approfondire questo sunto informativo attraverso la consultazione di testi che saranno evidenziati nella specifica bibliografia. Si tratta, in pratica, di scoprire quanto l’italico ingegno riuscì a creare, spesso attraverso l’uso di materiali di fortuna e comunque senza mai impiegare risorse economiche ed industriali particolarmente rilevanti. Fattori, questi ultimi, spesso considerati limitanti ma che, come si vedrà, non ostacolarono gli operatori della X Flottiglia Mas dal conseguimento di importanti successi tattico-strategici. La riprova di quest’ultima affermazione è data dal fatto che, ancora oggi, le forze speciali più blasonate a livello internazionale e sempre più spesso celebrate dai mass-media, studiano le azioni della X Mas facendone dei casi di scuola, mantenendo stretti contatti con i loro eredi: gli operatori di Comsubin.

Mezzi d'assalto subaquei

1) SLC (SILURO A LENTA CORSA) DETTO “MAIALE”

Si tratta del mezzo d’assalto italiano più famoso che ottenne i maggiori risultati nel corso della seconda guerra mondiale.  Derivato a grandi linee dalla “mignatta” del 1918 di Rossetti e Paolucci, il progetto prese vita grazie alle geniali intuizioni di due Ufficiali del Corpo del Genio Navale: Teseo Tesei e Elios Toschi.

Essi idearono una sorta di torpedine semovente che avesse la capacità di navigare sia in superficie sia in immersione, trasportando un’imponente carica esplosiva costituita da kg. 260 di Tritolite o Tritolital nella testa di servizio posta a prora.

Il mezzo aveva organi di comando o timonerie, per le evoluzioni tridimensionali in acqua, mutuati da quelli in uso nel settore aeronautico.  Il motore, ad alimentazione elettrica, aveva una potenza fino a 1,6 H.P. e asserviva inizialmente due eliche coassiali e controrotanti.  Successivamente, la propulsione venne affidata ad un’unica elica del diametro di circa 38 cm decisamente meno rumorosa e più adatta alla navigazione alle basse velocità.   Era alimentato da un “pacco accumulatori/batterie” a 30 elementi che erogavano circa 180 Ampères a 60 Volts.  Tale sistema consentiva una velocità massima subacquea di circa 3 nodi con una autonomia teorica di 15 miglia nautiche (alla velocità economica di 2,3 nodi).  La velocità in superficie o in affioramento non variava significativamente da quella in immersione.  Degna di nota è la capacità d’immersione rapida e completa del mezzo entro i 7 secondi.

2) MEZZO D’ASSALTO TIPO DELTA, ALTRIMENTI NOTO COME SILURO SAN BARTOLOMEO (SSB)

L’impiego dei SLC, sia pure nelle differenti serie produttive, aveva evidenziato guerra durante delle specifiche limitazioni.  In aggiunta, nel corso del tempo, alcuni nuovi materiali e tecnologie si erano resi disponibili.  A questo punto venne deciso di procedere ad una rielaborazione del semovente subacqueo staccandosi, per certi versi, dal progetto originario.  Il Maggiore del Genio Navale Mario Masciulli, in collaborazione col Capitano G.N. Travaglini (contestualmente responsabile della officina segreta attrezzata sulla Pirocisterna Olterra, internata in quel di Algesiras -Spagna) e con la consulenza dell’ing. Guido Cattaneo, patron della C.A.B.I. di Milano e capocommessa delle ultime serie degli SLC, considerate le nuove specifiche emesse dal Com.do X Mas, incominciò gli studi e la realizzazione di un prototipo di un più evoluto e prestante semovente subacqueo.  Sotto la supervisione della Direzione Armi Subacquee di La Spezia, il mezzo incominciò a prendere forma concretizzando diverse migliorie e capacità.  L’Officina Siluri San Bartolomeo provvide alla sua realizzazione e da questo opificio prese il proprio nome.  Come testè affermato, il nuovo siluro si sarebbe dovuto ufficialmente chiamare Tipo Delta, ma fu universalmente noto come Siluro San Bartolomeo il cui acronimo fu SSB, sebbene nella documentazione produttiva assegnata alla Caproni, per la produzione di serie, la dizione ufficiale fu la prima.   Nel 1943 ebbero luogo le prime prove in acqua che evidenziarono significativi progressi nella condotta del mezzo sia in superficie sia in immersione.

Rispetto allo SLC, esso aveva una sagoma molto più massiva mentre la lunghezza era praticamente sovrapponibile.  Il diametro del corpo passava da 0,553 a mt. 0.780 anche grazie all’ampia carenatura superiore che permetteva di alloggiare al suo interno i due operatori, una sistemazione protettiva a tutto vantaggio dell’efficienza e della reattività dell’equipaggio.  I miglioramenti al respiratore subacqueo a ossigeno ARO permisero di armonizzare meglio tutte queste peculiarità in un efficace, prestante e temibile sistema d’arma.  Purtroppo, con  il sopraggiungere dell’ignobil armistizio, non si riuscì ad uscire dalla fase prototipica e di pre-serie e, pertanto, questo semovente non vide mai l’azione.

Peso totale: kg 2200 circa.  Lunghezza fuori tutto: mt 6,766.  Carica esplosiva: circa kg. 400.  Potenza del motore elettrico a corrente continua: 7,5 C.V. che collegato a due gruppi di 30 accumulatori/batterie che erogavano 190 Amperè/ora a 60 Volts e asservito a due eliche tripala controrotanti.  Velocità di navigazione in immersione 4,5 nodi; in emersione 2,5 nodi.  Autonomia: 15 miglia nautiche alla velocità di 2,5 nodi; 10 miglia a 3 nodi.

3) SOMMERGIBILE TASCABILE D’ASSALTO CAPRONI TIPO CA

Il minisommergibile CA (Caproni Assalto) o “motoscafo sommergibile d’agguato”, fu costruito dalla ditta Caproni, nota per la costruzione di aeroplani.   Nel 1935, tramite il supporto del consulente navale Vincenzo Goeta di Genova, l’azienda diede vita al progetto Goeta-Caproni, che fu presentato dopo alcuni mesi al Comitato del Disegno Navi della R M.   Definito in tutti i  suoi aspetti tecnici all’inizio del 1936, la produzione di una pre-serie di due mezzi fu approvata tre mesi dopo.   Ecco le principali caratteristiche:

Dimensioni: lunghezza 10 mt, larghezza 1,96 mt.   Dislocamento: 13,5 tls e 16,4 tsl quando armato di torpedini.  Armamento: 2 siluri da 450 mm.  Motori: un diesel MAN da 60 HP e un motore elettrico Marelli da 25 HP.  Velocita: max 6,2 in emersione, 5 nodi in immersione.   Autonomia: 700 miglia a 4 nodi in superficie e 57 miglia a 3 nodi in immersione.  Profondità max di collaudo: 55 mt.

I dati su esposti riguardano la versione “silurante” d’attacco e da agguato subacqueo.  Nel corso della sua vita venne messa a punto anche una versione specifica per la X Flottiglia Mas (Versione per trasporto dei Guastatori GAMMA) su un’idea del Com.te Belloni e del Comandante Wolk.  Questa variante prevedeva lo sbarco dell’armamento offensivo (i due siluri) e l’imbarco di operatori subacquei (fino a quattro) e degli ordigni esplosivi da essi impiegati per il minamento dei bastimenti nemici.

Dimensioni: lunghezza 10 mt, larghezza 1,96 mt.  Dislocamento 12 tsl e 14 tsl in ordine di combattimento.  Motore: motore elettrico Marelli da 21/22 Kw pari a circa 30 HP.  Velocità: in immersione 6 nodi; in emersione 7 nodi.  Armamento: 8 cariche subacquee da 100 kg l’una oppure di 20 cariche esplosive dette “Cimici”.  Profondità massima operativa 55 mt.

4) SOMMERGIBILE TASCABILE D’ASSALTO CAPRONI TIPO CB

Anche se non propriamente appartenuto ai mezzi d’Assalto della X Flottiglia Mas, si da un breve cenno a questo mezzo dato che rappresenta una particolarmente ben riuscita evoluzione del precedente CA.   La classe CB fu una serie di sommergibili tascabili progettati sempre dall’azienda Caproni e prodotti, a partire dal 1940, soprattutto allo scopo di difendere i porti di interesse e sviluppare un’agile sistema d’arma dedicato alla lotta antisommergibile.

Costruiti in 22 esemplari, questi mezzi ben si comportarono durante  la guerra, operando sia da basi nazionali sia da quelle poste sul Mar Nero; e proprio quelli di stanza in quest’ultima locazione il 30 agosto 1944 caddero in mano ai sovietici che li requisirono tenendoli in servizio fino al 1955.  Nel Nord’Italia, intanto, l’RSI confermò alla casa produttrice l’ordine per 50 CB da utilizzare prevalentemente nell’alto Adriatico in funzione di sistema d’arma “Hunter Killer”.  La produzione industriale, compromessa dagli eventi bellici, riuscì però a fornire solo dieci battelli, portando il totale dei battelli prodotti a 22, come anticipato.   Durante la loro vita operativa i CB colsero diversi e significativi successi e nella notte tra il 25 e il 26 agosto 1943 il “CB.4” colse l’ultimo successo di un sommergibile italiano nella seconda guerra mondiale, affondando il sommergibile sovietico “Šč-203” di 586 t. Ecco di seguito i dati di massima:

 

Dimensioni: lunghezza 15 mt, larghezza 3 mt. Pescaggio 2 mt.   Dislocamento: in Immersione 45 tsl, in emersione 36 tsl.   Motori: 1 diesel Man da 90 HP, 1 motore elettrico Marelli da 100 HP.   Velocità massima: in emersione 7 nodi, in immersione 5 nodi.  Profondità massima: 70 metri.  Autonomia: 1400 miglia nautiche a 5 nodi, in immersione 50 miglia a 4 nodi.   Armamento 2 siluri da 450 mm.

Prototipi, Mezzi Sperimentali e Progetti

Il Comando della X Flottiglia Mas fu una vera e propria fucina di idee innovative e di geniali intuizioni.  Lo spirito italico, in questo ambito, cercò di sopperire spesso con successo alle lacune tecniche e ai rapporti di forza che non propendevano per Roma, attraverso la creazione di sistemi d’arma futuristici e, qualche volta, al limite della fantascienza.  Alcuni di questi videro la debole luce che timidamente rischiarava la fase prototipica oppure, come spesso accadde, rimasero stoici sul tecnigrafo del progettista perché non ci fu il tempo materiale per realizzarli.

1) Il Sommergibile d’assalto tipo Minisini-Ferretti e il Minisommergibile Moschini: mezzi che si staccavano nettamente da quelli più tradizionali (CA e CB) che li avevano preceduti.

Il Minisini-Ferretti era sempre un sommergibile tascabile e venne progettato tra la fine del ’39 e l’inizio del 1940 e vide la luce alla fine dello stesso anno.  Il “papà” di questo mezzo era il Ten. Generale delle Armi Navali Eugenio Minisini che ricopriva la carica di Direttore del Silurificio di Baia (Pozzuoli).  Questo Ufficiale era tra l’altro noto per aver progettato e ideato il “lanciasiluri ad impulso laterale”, un dispositivo introdotto su tutti i MAS verso la fine gli anni Trenta.  Un’invenzione che trovò residenza anche dopo le ostilità su tutte le motosiluranti in servizio nella Marina Militare per molti anni.    Tornando invece al minisommergibile, si trattava di un battello di dimensioni contenute e con un dislocamento intorno alle 13 tonnellate avente un unico motore termico Isotta-Fraschini della potenza di 350 cv.  Si trattava, però, di un motore la cui alimentazione fu modificata per funzionare con una miscela di alcool e ossigeno.    Una soluzione realizzata sin dal 1936 dal Prof. Ferretti che prevedeva, almeno sul piano teorico, ulteriori sviluppi di potenza: in ogni caso siamo in presenza del primo motore termico a circuito chiuso che, tra l’altro, avesse superato tutte le prove al banco motore.   In quegli anni diversi furono i tentativi, anche in campo internazionale, per sviluppare motori di questo tipo, tutti andati falliti anche per la scarsa tecnologia del settore allora disponibile.  È solo da relativamente pochi anni che questa tecnologia, se si esclude quella basata sulla scissione dell’atomo, ha finalmente trovato residenza in importanti realizzazioni cantieristiche come per esempio i sommergibili classe U 212A in uso anche alla Marina Militare.

Vennero sviluppati due prototipi.  Lo SA 1, completato nel corso del 1941 e lo SA 2 che vide concretamente la luce l’anno successivo.  Si trattava di mezzi subacquei capaci di sviluppare una velocità considerevole per allora e pari a 15 nodi, che potevano essere mantenuti per un massimo di due ore.  Anche esternamente erano riconoscibili per un curioso e particolare assetto architettonico dato che erano dotati di due eliche trattive, poste a prua, coassiali e controrotanti.  Il loro armamento offensivo era costituito da due siluri da 450 mm posti a poppa.   L’impiego operativo prevedeva che il mezzo fosse portato in zona d’operazioni da un Cacciatorpediniere e posto in mare al largo dell’obiettivo.  Una volta immerso, procedendo ad alta velocità avrebbe quindi insidiato formazioni navali nemiche secondo una rotta d’attacco diretta.   I test, che vennero svolti per tutto il 1942, evidenziarono delle criticità e, quindi, fu sviluppato un terzo prototipo, lo SA 3, che raccoglieva tutte le modifiche e i miglioramenti del caso.  Inoltre, l’architettura del nuovo mezzo era decisamente più convenzionale e dotato sempre di un motore “unico”, sviluppato anch’esso dall’Ing. Ferretti, che permetteva il raggiungimento dei 20 nodi in immersione.   All’8 settembre i battelli SA 1 e 2 erano di fatto in disarmo e quindi vennero distrutti, anche se ciò che rimaneva venne recuperato dalle forze USA e trasferito oltreoceano insieme al suo inventore.  Tutto ciò diede vita ad un programma congiunto Italia-USA post bellico per un mini sommergibile da 30 tonnellate che, però, venne abbandonato sia per problematiche tecniche e sia per ragioni di costo/efficacia, intorno al 1957.  Di seguito vengono presentate due rarissime immagini di un SA (immagine g.c. Cernuschi, per il tramite del Com.te Bagnasco) che evidenziano l’aerodinamica silhouette del mezzo.   Purtroppo poco o nulla si sa, invece, del Moschini.

2) Mezzo Veloce d’Assalto Sassaroli

Il Veloce d’Assalto Sassaroli fu anch’esso un mezzo sperimentale e un’evoluzione del Minisini, la cui costruzione sarebbe dovuta spettare alla SIAI Marchetti di Vergiate (un’altra valente azienda del settore aeronautico come la Caproni).   Il progetto prese vita, grazie all’opera dell’Ing. Sassaroli Licio tra il 1943 ed il 1944.   Degno di nota è che il Sassaroli era nel 1941 imbarcato sull’Incrociatore Pola e venne catturato durante la battaglia di Capo Matapan: riuscì però a fuggire dalla prigionia in India e rientrare in Patria nel 1943.   Lo scafo era praticamente pronto al cessare delle ostilità armistiziali, mentre l’apparato di propulsione si trovava ancora coinvolto nei test al banco di prova.   Il mezzo, come tutti gli altri mezzi sperimentali qui descritti, aveva dimensioni contenute e poteva operare ad una limitata quota, non superiore ai 30 mt.  L’equipaggio era costituito da un solo uomo, tra l’altro munito di autorespiratore ARO dato che l’ambiente interno, decisamente angusto, poteva risultare saturo di anidride carbonica.   L’incursore posto alla guida aveva a disposizione un siluro da 450 mm situato sotto la chiglia.  Il puntamento di tale arma offensiva era effettuato attraverso il “delfinamento”, cioè una serie di picchiate e riemersioni (dove solo la torretta affiorava) fatte con una certa continuità al fine di determinare la rotta d’attacco e la distanza di sgancio del siluro.  La manovra di disimpegno era prevista che avvenisse in immersione e sempre ad alta velocità.   In emersione poteva raggiungere i 18 nodi, mentre quando immerso la velocità poteva raggiungere anche i 30 nodi, con un’autonomia del “circuito chiuso” di circa 100 minuti.   Il prototipo fu messo in opera a Sesto Calende con il supporto dell’Ing. Gorla e delle maestranze altamente qualificate dell’opificio varesino.   Di massima lo scafo era di conformazione cilindrica con la prora arrotondata e vantava una certa sezione circolare con un diametro di circa 1,5 mt. e una lunghezza f.t. di circa 8.    La quota di esercizio massima era, come già detto, di circa 30 mt.  La costruzione era lignea (compensato aeronautico a 4 strati) dello spessore di 15 mm, con la tipica struttura di una fusoliera aeronautica basata su ordinate circolari in robusto legno.  Il collante era il Kaurit nero (un adesivo, ancora oggi in uso in diversi campi, a base di resina ureica), mentre non vennero assolutamente impiegate ne viti ne chiodi.   Infine una telatura, di un certo spessore, serrava esternamente lo scafo conferendo una particolare monoliticità e robustezza, tanto che se si colpiva lo scafo esso risuonava un po’ come una cassa armonica.   La chiglia, esterna, era in ghisa e ripartita in tre sezioni ed aveva la funzione di zavorra stabilizzatrice tale da assicurare, con la sua massa, una residua spinta positiva di soli 200 kg.   A prua trovavano posto un serbatoio semisferico di compensazione (a seguito dello svuotamento dei contenitori di ossigeno e carburante) e una coppia di timonerie orizzontali per l’assetto.   A poppa, invece, era posizionato un castello motore in acciaio che sorreggeva l’apparato di propulsione dotato di due eliche controrotanti nonché l’impennaggio poppiero.  La cabina di pilotaggio, come già detto di ridotte dimensioni, era posta in posizione centrale e sotto una sorta di falsa vela o falsa torre con due finestre laterali e una centrale tutte di 15×20 cm.   Il motore era un Alfa Romeo da 200 cv a 1.500 rpm servito da un serbatoio di carburante di 300 lt (che teoricamente consentiva un’autonomia di 10 ore di moto) che attraverso un sistema di valvole, quando in emersione, veniva alimentato atmosfericamente. Quando invece era sommerso, l’aria veniva sostituita dall’ossigeno contenuto in 7 bombole, poste a prua, ad alta pressione che consentivano alla velocità massima, come già detto, due ore di autonomia.   Al termine delle ostilità la sola fusoliera lignea era pronta e quindi, data la sua formazione strutturale, venne facilmente distrutta.  Di seguito si riporta un disegno/diagramma del mezzo creato sulla base degli schizzi fatti dallo stesso Ing. Sassaroli.

3) Battelli “R”

Fin dalle prime sperimentazioni, per altro positive, del sistema d’arma “Gamma” emerse subito una limitazione fondamentale e congenita: lo scarso raggio d’azione e la bassa velocità di movimento in acqua legata esclusivamente alle qualità natatorie dell’operatore.  Infatti, il nuotatore-guastatore doveva trascinare con sé le carche esplosive, i bauletti che, sebbene affusolati e relativamente pesanti, rappresentavano comunque un freno al nuoto vero e proprio.    Nacque quindi l’esigenza di dotarli di un mezzo di trasporto idoneo a livello individuale che, però, mantenesse la dovuta discrezione, specie nell’ultima parte dell’avvicinamento all’obiettivo.    Una possibile soluzione fu concretizzata dalla esperienza del Com.te Antonio Ramognino -già agente della X Mas- che, nel 1941, compenetrò le sue esperienze sportive di provetto canoista a quelle acquisite negli anni di lavoro svolti presso l’opificio Piaggio, dedicato prevalentemente alle costruzioni aeronautiche.

Grazie all’ausilio di alcune maestranze e delle proprie intuizioni, sviluppò un piccolo scafo, molto vicino ad un “sandolino”, con un buon allungamento (rapporto fra la lunghezza e la larghezza dell’opera viva, propulso dai muscoli del Gamma opportunamente munito di pagaia.  Essendo inserito nella struttura di costruzioni aeronautiche di Pontedera, i principali materiali utilizzati furono le leghe leggere in alluminio: “Avional, Peraluman e Alumex”.

Le dimensioni si svilupparono in lunghezza per una quota pari a 5 mt, mentre come già detto la larghezza era di poco più di venti centimetri, a tutto vantaggio del valore di allungamento e dell’acquaticità specie per lo scavallamento delle boe connesse con le ostruzioni retali poste a difesa dei porti nemici.     L’altezza di questa “strana” canoa era di circa 50 cm e grazie all’impiego delle citate leghe leggere il suo peso non superava nel complesso la settantina di chilogrammi.  In pratica era abbastanza simile ad uno scarpone di idrovolante e la sua conformazione permetteva una certa stabilità nautica.  L’uomo Gamma si sarebbe dovuto sdraiare sopra, dati i ridotti ingombri del mezzo e grazie alla spinta di galleggiabilità il battello avrebbe consentito il trasporto sicuro di una sensibile quantità di esplosivo.   La Regia Marina chiese però alcune modifiche di cui, la più consistente fu quella di dotare il mezzo di un apparato propulsivo particolarmente silenzioso.  Con l’aggiunta del motore, le dimensioni non cambiarono di molto, ma il peso arrivò prossimo ai 250 kg.    Vennero anche aggiunte due sacche laterali pneumatiche che aumentavano considerevolmente la stabilità trasversale.  Il motore era un Siemens elettrico da 12.000 giri/minuto, con un rapporto di riduzione di 1/8, che alimentava un’elica tripala posta sotto la carena.   Corredato di 3 batterie/accumulatori da 300 Ampere, il motore sosteneva il battello con una velocità di 4 nodi per un’autonomia di circa 35 miglia nautiche, pari cioè a 10 ore di moto.  Il mezzo poteva trasportare anche cariche esplosive importanti sino ad un limite di 350 kg.  All’inizio del 1942 vennero effettuati i primi collaudi, presso il Balipedio Cottrau, i cui esiti furono favorevoli.  Piccole modifiche si aggiunsero al già consolidato progetto di base ed una prima serie di battelli, denominati “R”, venne avviata alla produzione.  Poco dopo però, il Com.te Ramognino venne inviato in missione in Spagna, diventando l’artefice, in quel di Algesiras, di due basi segrete: quella di Villa Carmela e di Nave Olterra (entrambe descritte in altre pagine del sito) e alcune difficoltà tecniche rallentarono e di molto questo progetto.  Alla fine del 1942, inizio del 1943 risultarono consegnati al Comando X solo sei battelli “R” ma di questi, poco prima dell’8 settembre, già non ve ne era più traccia.

4) Semi-sommergibile Campini – De Bernardi

Come abbiamo visto molti interessanti progetti di nuovi e ingegnosi mezzi d’assalto non arrivarono mai alla concretizzazione operativa perché, il più delle volte, richiedevano ampie sperimentazioni, affinamenti e implementazioni industriali che non potevano essere fatte nel breve periodo.    Basti pensare ai “maiali” che videro la luce nel lontano 1935/36 ma che ebbero un certo grado di maturità operativa solo ben 7 anni dopo.    E anche nel caso che si va a trattare vale lo stesso tipo di discorso.   Nel febbraio del 1942 la Azienda VENAR Costruzioni Aeronautiche e Nautiche di Milano, propose un Semisommergibile da essa sviluppato sotto l’egida dell’ing. Campini (il papà del Campini Caproni CC 2 che, nel 1940, fu il primo velivolo con motore non convenzionale a volare al mondo) e del Com.te Mario De Bernardi, capo collaudatore della stessa Caproni.

In breve si trattava di un mezzo a forma silureggiante che, con un diametro di 80 cm e con una capacità di immersione di pochi metri, permetteva l’imbarco di un solo operatore.  L’apparato motore pensato per il mezzo era composto da due unità distinte: la prima era un motore aspirato per la navigazione in superficie/affioramento e in secondo una unità termica a “circuito chiuso” (ossigeno e alcool o petrolio) per la condotta a quota periscopica.   Era previsto che il mezzo portasse da 1 a 2 silurotti da 450 mm, appesi sotto lo scafo e il suo avvicinamento alla zona di agguato poteva anche essere previsto per il tramite di un trasporto aereo.  Anche in questo caso, come per altri, la tecnologia dei motori a “circuito chiuso” era decisamente acerba e limitata dalle materie prime allora disponibili che non permettevano adeguati rendimenti termici e garanzie di affidabilità.   Anche quest’ultimo rimase a livello di progetto.

5) Motoscafo Silurante tipo “X”

Il disegno CABI n. A 664 (riportato qui sotto) e datato 20 luglio 1943, ha per oggetto il “Motoscafo Sperimentale Tipo X”.  Un mezzo di ragguardevoli dimensioni rispetto alle siluranti motoscafiche sino ad allora in uso.   Voleva essere un sistema d’arma a carattere offensivo con decise qualità nautiche e un massivo armamento di lancio composto da ben 4 siluri e 4 bombe di profondità.   Nel complesso si parla di uno scafo di oltre 15 metri, largo quasi 5, di stazza notevole e pari a circa 13/14 tonnellate, in pratica come un più tradizionale MAS.   La potenza sarebbe stata generata su due motori FIAT A.30 che, abbinati, fornivano complessivamente circa 900 CV.   Per il carico di carburante imbarcato -pari a poco meno di due tonnellate- e alla velocità di circa 42 nodi, il suo raggio d’azione era calcolato in circa 200 miglia nautiche.  Un progetto imponente per la Flottiglia che però, al settembre 1943, era ancora in corso di definizione sui tecnigrafi dei progettisti.   La Decima, dopo il c.d. armistizio, riprese in mano il progetto e lo modificò dando origine ad una nuova versione di questo dedicato sistema d’arma.  Provvisoriamente definito dalla CABI col numero di progetto n. 796, anch’esso riportato di seguito a queste note, il nuovo mezzo era pantografato in forma ridotta rispetto all’originale, anche se i suoi ingombri di massima comunque rimanevano di una certa importanza.  La lunghezza era di 12,5 metri e la sua larghezza era pari a 3.  Il suo dislocamento era quasi dimezzato e quindi ridotto a circa 7 tsl così come l’armamento offensivo, che fu ridotto a due siluri e 2 BTG.   Il motore era un Isotta Fraschini -tipo 11R- con una potenza all’albero di circa 700 CV.   La velocità di attacco e lancio dei siluri si attestava intorno ai 40 nodi, mentre il raggio d’azione era di poco superiore alle 100 miglia nautiche.  Purtroppo, anche questo progetto, sostitutivo degli SMA, non riuscì a vedere mai la luce operativa e quindi rimase anch’esso nel limbo dei progetti irrealizzati.

6) Idroscivolante “Rosicarelli”

Stiamo introducendo anche in questo caso un mezzo d’assalto che vide la sua realizzazione rimanere incompleta.  Probabilmente i primi tratti di matita sul tecnigrafo furono impostati nel 1943.  In buona sostanza si trattava di un aliscafo di ridotte dimensioni ma ad alte prestazioni.   Era accreditato di velocità pari ai 70/80 nodi, condotto da un solo operatore e anch’esso armato con due siluri da 450 mm.   La lunghezza era intorno ai 6 metri e la larghezza pari ad 1,5 mt. Il suo probabile dislocamento era appena al di sotto delle 5 tonnellate.  La parte frontale del mezzo, risultava blindata con spessori intorno ai 40 mm mentre l’apparato motore era un Isotta Fraschini tipo Delta da 700 CV con un’autonomia pari a circa 5 ore, corrispondenti a tutta forza a 350/400 miglia nautiche.  Vista la compattezza -relativa-del mezzo veniva previsto il trasbordo su mezzi di superficie con una messa a mare nel raggio delle 100 miglia nautiche.  Il suo progettista, l’Ing. Rosicatelli, auspicava però un impiego in acque calme dato che, anche in presenza di un leggero moto ondoso, la sua velocità di planata, al massimo della prestazione, sarebbe stata ridotta considerevolmente.

Mezzi di Superficie

1) BARCHINO ESPLOSIVO

I barchini esplosivi avevano il loro nido in quel di La Spezia, prevalentemente al Balipedio Cottrau.  Erano dei piccoli scafi dotati di motori a benzina di derivazione sportiva.  Grazie alla loro sagoma e alla potenza sviluppata dall’unità motrice potevano raggiungere ragguardevoli velocità che abbinata alla loro ridotta sagoma passiva, risultavano di difficile individuazione specie di notte o alle prime luci crepuscolari.  Trasportavano una massiccia carica esplosiva di circa 300 kg che, al momento dell’impatto contro lo scafo nemico, affondava di qualche metro.  Un piatto idrostatico a quel punto attivava la catena d’innesco e quindi avveniva l’esplosione della carica che, grazie anche al battente d’acqua, provocava ingenti danni all’opera viva del bastimento nemico.  Il pilota, a circa 80 mt dalla nave bersaglio abbandonava il motoscafo, catapultandosi all’indietro e guadagnava lo schienale, cui il mezzo era dotato e che serviva da zatterone per la protezione dell’operatore dalle onde d’urto generate dall’esplosione.

2) MOTOSCAFO TURISMO MODIFICATO (M.T.M.)

Abbreviato familiarmente in “emme” nell’ambiente dei Mezzi d’Assalto, divenne alla fine del 1941 , il tipo di barchino esplosivo “standard” della ” Xa Mas” e fu anche quello di cui venne costruito il maggior numero di esemplari.

Armamento: carica esplosiva: da circa 300-350 kg. di Tritolital (derivazione potenziata del Tritolo), contenuta in un contenitore cilindrico. Una volta fissato l’obiettivo il mezzo veniva lanciato contro di esso, dopo aver bloccato il timone. Fatto ciò il pilota si sganciava e si calava in mare su una piccolo salvagente. Una volta colpita la nave nemica, la carica esplodeva dopo aver raggiunto una certa profondità per recare più danni possibili.

3) MOTOSCAFO TURISMO RIDOTTO (M.T.R.)

Venne concepito e costruito nel 1942, nell’intento di riportare le dimensioni ed i carichi dell’M.T.M. A valori più contenuti e, nel contempo, di consentirne il trasporto con sommergibili, in appositi contenitori. Le sue caratteristiche risultarono: dislocamento di 1 tonnellata, lunghezza di 6,11 metri e larghezza inferiore di 30 cm rispetto al modello precedente, velocità di 29 nodi con lo stesso motore da 95 HP usato nell’M.T. E nell’M.T.M., autonomia di 80 miglia.  Una prima serie di 8 esemplari venne consegnata nell’ottobre del 1942 ed una seconda serie di 12, con lievi modifiche (M.T.R.M.) fu approntata entro il mese di settembre 1943. Tuttavia, ad eccezione del tentato attacco contro Siracusa, questi mezzi non parteciparono ad alcuna azione. La R.S.I. Ne ebbe in carico 4.

4) MOTOSCAFO TURISMO SILURANTE (M.T.S.)

Definito convenzionalmente ” Progetto Omega”, la prima configurazione del nuovo mezzo venne approvata nel gennaio. Era uno scafo di legno con carena a spigolo basso “V” prodiero da 6.5 metri di lunghezza e 2,2 di larghezza (con una altezza massima di era di 1,75metri).

Armamento: i siluri previsti erano due da 450 mm., ridotti a 3,2 metri di lunghezza. L’espulsione dei siluri avveniva verso poppa, mediante la spinta di una coppia di pistoni telescopici mossi da aria compressa, contenuta in bombole.

5) MOTOSCAFO TURISMO SILURANTE MODIFICATO (M.T.S.M.)

Versione migliorata degli M.T.S.: tra le migliorie apportate citiamo per esempio: l’incremento della lunghezza dello scafo, nuova forma della carena, riduzione dei siluri imbarcati e aumento dei motori (da uno a due).

6) MOTOSCAFO TURISMO SILURANTE MODIFICATO ALLARGATO (M.T.S.M.A.)

Nuovo tipo di motoscafo, di dimensioni leggermente aumentate da 8,3 metri a 8,77 metri ( la lettera finale “A” della sigla sta a significare allargato). Armamento: un siluro, bombe di profondità e fumogeni.

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