Gruppo Artiglieria San Giorgio

Venne inviato sul fronte di Nettuno (Littoria) alle dipendenze del “Barbarigo”, rientrando quindi a La Spezia. In Piemonte venne incorporato nella “Divisione Xa”e quindi inviato nel Friuli. Si sciolse a Thiene il 30 aprile 1945.

Il 19 febbraio 1944 il Maestrale, divenuto Barbarigo (in onore del sommergibile comandato da Enzo Grosso), lasciava La Spezia per raggiungere Roma.
Successivamente, nel marzo del 1944, il Barbarigo (840 uomini, organizzati in un comando e quattro compagnie, ma senza armi pesanti, pezzi controcarro e antiaerei) entrava in linea nella testa di ponte tra Anzio e Nettuno (assegnato al fronte meridionale).
Sarà affiancato dalla XIV Panzerarmee tedesca e come parte della 715a Panzergrenadiere Division.
Grazie all’incontro tra il comandante Bardelli e il generale Hildebrandt (comandante della divisione tedesca), nacque l’idea da parte di quest’ultimo di costituire un reparto di artiglieria su due batterie di cannoni da 105 mm (il compito fu facilitato dalla presenza nel Barbarigo di alcuni artiglieri e cannonieri di marina).

Il Barbarigo con questa nuova formazione assunse l’organico di un vero e proprio gruppo di combattimento. Nasceva sul campo il primo nucleo di un Gruppo di Artiglieria, a cui poi sarebbe stato dato il nome di San Giorgio, nel ricordo dell’unità navale impiegata nella difesa di Tobruk (unità che si autoaffondò dopo la perdita del porto di Tobruk).
Le due batterie che componevano il gruppo, saranno poi chiamate Speranza e Fulmine.
A Sermoneta le 4 compagnie del Barbarigo forniranno l’organico al San Giorgio: 30 uomini (erano inclusi tutti coloro che avevano già prestato servizio come artiglieri, o anche chi aveva frequentato istituti o facoltà a carattere tecnico ognuno delle quattro compagnie passerà nel San Giorgio).

Il 7 marzo gli artiglieri giungevano in linea; le 2 erano così schierate nella zona di Littoria:
• SPERANZA: in un primo momento a sud ovest della città, per battere il settore compreso tra il mare e Borgo Bainsizza.
• FULMINE: nordovest dell’abitato, per coprire la zona alta del fronte.

La tattica utilizzata era quella di usare 3 dei 4 cannoni e utilizzare il quarto come pezzo fantasma per attirare su di sé il fuoco nemico.
Dopo dei giorni di corso veloce da parte dei tedeschi, il 12 marzo i pezzi iniziano i primi tiri, sotto il controllo di ufficiali tedeschi. Questi pezzi della V Compagnia Cannoni sono la prima artiglieria da campagna dell’R.S.I. che entrano in combattimento. Una settimana dopo le compagnie sono dirette da ufficiali italiani.
Il 20 marzo con l’arrivo dal comando della Decima dei complementi, si costituiva il Gruppo Comando.
Il reparto passa sotto il comando del Ten. Di Vascello Renato Carnevale. Il Gruppo di Combattimento Barbarigo era quindi costituito ed era composta da il battaglione di Fanteria ed il reparto d’artiglieria, ed era inserito nel Kampfgruppe Von Scheller; le batterie erano invece inquadrate nel 1° del 671° Reggimento d’Artiglieria germanico.
Due date sono fondamentali a questo punto: il 16 aprile (ad ogni batteria è affiancato un ufficiale germanico di collegamento) e il 1 maggio 1944.
In questa data 2 compagnie italiane e la V Compagnia Cannoni del Barbarigo, con una tedesca, riuscirono a contrastare con successo un raid di mezzi corazzati americani contro degli avamposti. Volendo fare una stima dell’attività delle singole batterie (fine aprile 1944), si può vedere che la prima batteria sparò circa 2300 colpi, la seconda circa 1800.
Le cose di complicarono tra il 1 e il 6 aprile: la prima batteria fu abbattuta dal tiro del nemico (e quindi fu poi trasferita) e la seconda era stata spostata dopo aver subito per tre volte l’incendio delle riserve di munizioni.
Questa manovra non servì a molto, in quanto anche nelle nuove postazioni subì dei danni.

Alla fine del maggio 1944 iniziava la controffensiva americana, con le direttrici d’attacco sia da sud dopo lo sfondamento della linea di Cassino sia della testa di ponte.
Il Barbarigo e il San Giorgio corsero il rischio di rimanere accerchiati e distrutti.
Il Barbarigo era diviso tra la linea del fronte mantenuta dalla Ia e IVa Compagnia, la difesa costiera di Terracina (IIIa Compagnia) e dei lavori nelle retrovie (a Norma), dalla IIa Compagnia.
Proprio la IIa fu la prima compagnia ad entrare in contatto con il nemico.
Le altre invece non essendo raggiunte dal nemico furono raggiunte invece dall’ordine di ripiegamento (24 maggio 1944).

Il gruppo artiglieria era così diviso:
• COMANDO GRUPPO: presso il comando del 1° Battaglione, 671° Reggimento Granatieri tedesco (Tor tre ponti e Littoria: 3 ufficiali, 9 sotto ufficiali e 23 marinai). • 1a BATTERIA SPERANZA: con 4 pezzi da 75/27 era a 1 Km da nord est di Littoria (3 ufficiali, 7 sotto ufficiali e 59 marinai).

• 2a BATTERIA FULMINE: 4 pezzi da 105/32 era a circa 2 Km (nord-nord est) da Littoria (4 ufficiali, 7 sotto ufficiali e 59 marinai).
Il San Giorgio ricevette in tarda mattinata l’ordine di coprire con i suoi cannoni le ritirate delle compagnie di fucilieri: alle 15,00, dal comando del 1° Battaglione, 671° Reggimento Granatieri tedesco giunse invece il preavviso per il ripiegamento su Cori. Il comandante T.V. Renato Carnevale si accordò con il comando tedesco per continuare l’azione di fuoco di copertura fino ad esaurimento delle munizioni.
Per le statistiche la 1a Batteria sparò in quelle ore circa 350 colpi, la 2a 390. Alle ore 19.25 i pezzi furono fatti saltare, insieme al materiale non trasportabile. Alle ore 20.20 il Gruppo San Giorgio al completo lasciò la linea raggiungendo Cori: qui il Ten. Di Vascello Carnevale non trovando il collegamento con i tedeschi, avviò gli uomini a Giulianello, tornando poi in prossimità di Boccagerga per cercare i dispersi.

Non trovando successivamente neanche i tedeschi nella zona di San Cesareo, e sulla scorta di ordini ricevuti dal Comando del Gruppo di Combattimento tedesco, il San Giorgio mosse verso Roma (e vi entrò il 30 maggio).
Alla fine della ritirata con un totale di 19 marinai caduti, il gruppo era formato da:
• COMANDO GRUPPO: 3 ufficiali, 9 sottoufficiali e 23 marinai.
• 1a BATTERIA SPERANZA: 3 ufficiali, 7 sottoufficiali e 50 marinai.
• 2a BATTERIA FULMINE: 4 ufficiali, 7 sottoufficiali e 49 marinai.
Al rientro a La Spezia, il Gruppo si sciolse e gli uomini tornarono al Barbarigo.

Ufficiali e artiglieri del disciolto San Giorgio tornano al Barbarigo (IVa compagnia).
Successivamente, la Fanteria di Marina della neonata Divisione Decima si trasferiva in Piemonte (giugno 1944) in quanto era il punto più pericoloso alla spalle della Wehrmacht: nido di antifascisti in città e di ribelli in montagna.
La zona del dislocamento era tra la zona di Ivrea e verso la valle d’Aosta.

Qui venne presa la decisione di far rinascere il Gruppo Artiglieria San Giorgio, nell’ambito del 3° Reggimento Artiglieria della Divisione.

La Divisione Decima era così formata:
1 COMANDO DIVISIONALE.
1 BATTAGLIONE GENIO: Freccia.
1° REGGIMENTO FANTERIA DI MARINA: Barbarigo, NP e Lupo.
2° REGGIMENTO FANTERIA DI MARINA: Fulmine, Sagittario e Valanga.
3° REGGIMENTO ARTIGLIERIA: Gruppi San Giorgio, Colleoni e da Giussano.

Inizialmente, il reparto ebbe come base la caserma Montegrappa di Torino e fu un’appendice del Gruppo Artiglieria Colleoni.
Era formato da una quarantina di marinai e 3 obici da 75/13.
L’8 luglio Bardelli viene informato che il guardiamarina Oneto ha disertato con 10 marò armati, rubando la paga del battaglione. Si organizza la squadra con a capo Bardelli e un gruppo di marò per il recupero: si rastrella la zona dove dovrebbe trovarsi il fuggitivo e si occupa la piazza di Ozegna. Oneto è alla stazione (a circa 200 mt) che sta vendendo armi e altri oggetti per disfarsene, per racimolare denaro per tornarsene a casa.
Qualche partigiano interviene per trattenere i “venditori”, in quanto ha già avvisato un distaccamento di matteottini. La volante di Piero (con il rinforzo di due squadre della 6a GL), vuole attaccare il gruppetto del Barbarigo ad Agliè.

Ma a Ozegna la volante si blocca, perché avvertita della volontà di Bardelli di recuperare i disertori.
I partigiani bloccano gli accessi alla piazza e circondano sul piazzale i disertori che si arrendono.
Piero si fa avanti per parlamentare. Non si sa quello che lui e Bardelli si dissero.
Bardelli (essendo circondato) da l’ordine in segno di pacificazione di disarmare le armi e butta la sua a terra. Ma i partigiani stringono il cerchio intorno ai marò e agli ufficiali e puntano chiaramente a raccogliere le armi. Bardelli capisce di essere caduto in una imboscata.

Intimata la resa Bardelli risponde “Barbarigo non si arrende”. L’imboscata tesa dai partigiani costò ai marò altri nove morti e numerosi feriti.
Al cadavere di Bardelli i partigiani strapparono due denti d’oro e gli altri marò uccisi vennero rinvenuti lordati di letame.
Nei primi giorni dell’ottobre 1944, il “Barbarigo” mosse all’attacco dei partigiani attestati nella zona di Rimordono (Torino).

I marò sbaragliarono le formazioni avversarie, costringendo le bande a riparare in territorio francese. Successivamente in questo periodo i 2 gruppi parteciparono alla presa di Alba (Ottobre 1944). Arriverà poi l’ordine di mobilitazione. La nuova destinazione era il Veneto per la difesa dei confini orientali minacciate dalle bande di Tito.
Il San Giorgio si mosse per Conegliano Veneto (preceduto dal STV Abelli e dal GM Rubini), dove riuscì a contare una sessantina di marinai.

L’organico era composto da 17 ufficiali, 4 sotto ufficiali e 55 sottocapi e marò (tot 76 persone). Qui va ricordato che il battaglione continuò l’addestramento dei marò e ricevette un quarto obice.

Il 18 novembre del 1944 alcune unità della Decima parteciparono ad operazioni di controguerrglia nella Carnia: tre colonne (Barbarigo, Fulmine e Valanga) dovevano raggiungere con alcune unità tedesche la zona della Val Meduna e Tramontina, dove risiedevano alcune brigate partigiane.

Il Comando del Valanga chiese il supporto dell’artiglieria. Essendo già impegnati i gruppi del Colleoni e del Giussano, toccò al piccolo gruppo del San Giorgio: i pezzi furono messi in Batteria in un campo alla periferia di Meduno, mentre la pattuglia OC, Osservazione e Controllo (G.M. Tafel) si occupava della direzione e dell’osservazione del tiro.
Dopo due colpi di aggiustamento il bersaglio fu inquadrato e quattro pezzi spararono a volontà anche durante la notte.
Dopo l’azione di fuoco il gruppo rimane alcuni giorni nel paesino senza seguire l’avanzata degli altri reparti; rientrato poi a Conegliano il reparto continuò l’addestramento.
Qui, per via dell’intensa azione aerea nemica, l’addestramento comprese anche il tiro contraereo con armi personali.

Nel dicembre 1944, con l’inizio dell’operazione ADLER, il Gruppo è a Gorizia.
Oltre che a truppe tedesche e a vari reparti slavi filo tedeschi un ruolo importante fu assegnato ai reparti della Decima.
Il piano era complesso: accerchiare il IX° Corpus jugoslavo negli altopiani di Bainsiza e Tarnova, facendo muovere contemporaneamente dieci colonne. Il 18 dicembre 1944 il Sagittario muove verso Tarnova, insieme alla pattuglia OC del San Giorgio (comandata dal S.T.V. Abelli).

Il 19 il San Giorgio partì su un camion a rimorchio.
Non raggiunse il punto prefissato per il fatto che, dove ci doveva essere un ponte in effetti non c’era perché fatto saltare dai partigiani dopo il loro passaggio. Il camion cadde nel canalone senza troppi danni né ai mezzi, né agli uomini (a differenza di un camion del Valanga saltato su una mina). Fu necessario tornare indietro e trovare un ricovero per la notte.
La mattina successiva il gruppo raggiunse Tarnova e schierò i suoi pezzi dietro la chiesa per battere alcuni obiettivi non del tutto visibili.
Il 25 dicembre giunse la notizia che il Sagittario era accerchiato a Casal Nemci e che chiedeva aiuto: il San Giorgio non poté intervenire, in quanto a corto di munizioni e privo di coordinate per il tiro.

Avvisato il comando divisione Decima si iniziò la manovra di soccorso; mentre la riserva della divisione Decima si muoveva (IIIa Compagnia degli NP, comandante Ciappi), il C.C. Rodolfo Scarelli decise di creare una seconda unità di soccorso con gli artiglieri del San Giorgio e di mettersi al comando del gruppo.
Due squadre di venti uomini comandati dal S.T.V. Abelli e dal G.M. Rubini partivano per Tarnova. La squadra di Abelli, a cui si era unito il C.C. Scarelli, si muovevano per la strada principale e quella di Rubini la fiancheggiava, camminando per il bosco.
Dopo 30 minuti circa, le squadre arrivarono a Tarnova.
La strada principale però era bloccata da una pattuglia slava che, avvistata la squadra di Abelli, inziò a nascondersi nel bosco.
Ma il movimento fu notato dalle due squadre di Rubini e Scarelli, che iniziarono l’attacco. Dopo mezz’ora gli slavi si ritirarono anche per l’arrivo nel vallone di Chiapovano degli NP.
Grazie a questi soccorsi ed a una manovra a tenaglia il Sagittario si salvò, perdendo cinque uomini.
La colonna della Decima ritornò a Tarnova e quella sera gli uomini parteciparono alla messa di Natale. L’operazione ADLER finì il 29 dicembre del ’44 con un nulla di fatto.
Quasi come continuo dell’operazione, si decise di costituire un presidio a Selva di Tarnova.
Il San Giorgio vi rimase fino ai primi del gennaio 45: in questo periodo i pezzi del gruppo artiglieria operarono un paio di volte con altri reparti (ricordiamo il gruppo OC di Tafel in azione con il battaglione NP).

Rientrato a Gorizia il San Giorgio si mosse con rapidità per la Sella Dol la mattina del 20 gennaio 1945, visto che il Fulmine era assediato dal giorno prima a Tarnova ed erano iniziate le manovre di soccorso. Gli slavi si erano organizzati e stringevano l’assedio da una parte interna e dall’altra esterna, bloccava ogni rinforzo minacciando anche la calata su Gorizia, ed i primi tentativi di reazione da parte del Valanga e Sagittario erano stati bloccati.
Si voleva forzare quella interna per attaccare l’esterna. Il fulcro della zona era il monte San Gabriele, alla cui sommità gli slavi bloccavano la strada per Tarnova e controllavano le zone abitate di Salcano e Gorizia.
L’ordine di conquistarlo era stato dato al Barbarigo, che ebbe come appoggio il fuoco della compagnia del San Giorgio (come già era avvenuto sul fronte di Nettuno).
Quindi, mentre il Barbarigo risaliva le pendici innevate, il San Giorgio iniziò il tiro.
I 75/13 batterono e distrussero le zone dei bersagli individuati, e le zone di fuoco. Grazie a questo il Barbarigo riuscì nell’assalto finale.

Alle 12 la montagna era in mani italiane.
L’operazione continuò con i battaglioni del Valanga e del Sagittario che, muovendo verso sud, rastrellavano le zone rimaste delle pendici del San Gabriele e del Monte San Daniele.

Tra il 20 e il 21 il Barbarigo trincerato sulla cima del San Gabriele respingeva le varie ondate di slavi: nello stesso tempo una parte del Fulmine forzava l’assedio e lasciava Tarnova, rientrando nelle linee amiche dopo aver lasciato due capisaldi isolati.
Il mattino del 21 gennaio una colonna tedesca riuscì a raggiungere il villaggio e a trovare i superstiti del Fulmine che combattevano ancora. I supersiti furono salvati. Terminava così l’operazione di salvataggio e il Gruppo rientrò a Gorizia.

A metà febbraio, per continui scontri con il comando tedesco, la divisione Decima rientrò in Veneto.

Il San Giorgio raggiunse la nuova sede a Bassano del Grappa.
Qui proseguì l’addestramento in vista dell’impiego sul fronte adriatico.
Facevano parte del Gruppo undici ufficiali, sei sottoufficiali e 114 sottocapi e marò. L’armamento era formato da 20 mitra MAB con 800 colpi, 141 fucili modello ’91 con 1.520 colpi, 100 elmetti, 2 mitragliatrici con 10.000 proiettili, ma non c’erano mezzi di trasporto.
Verso la fine del conflitto il San Giorgio si vide destinare a Marostica per raggiungere il Valanga.

Secondo i piani, una volta ceduto il fronte gli uomini avrebbero dovuto riunirsi nel vicentino, giungere a Gorizia, difendere la città e aspettare l’arrivo degli americani per arrendersi.
Ma per mancanza di mezzi di trasporto, il San Giorgio si fermò a Marostica dove iniziarono le trattative con i partigiani. Il gruppo si sciolse il 29 aprile del 1945, quando per l’ultima volta gli artiglieri intonarono la canzone della Decima e fu ammainata la bandiera dell’R.S.I.

Il comando Decima ha stabilito di prendere parte a una grossa operazione che ha come obiettivo quello di distruggere il IX° Corpus jugoslavo che è schierato tra le valli e i valloni di Tarnova e Chiapovano.
I tedeschi hanno previsto 10 colonne che devono avanzare partendo da Gorizia, Idria, Hotdrisca, Postumia, Sesana, Opacchiasella e arrivare ad Aidùssina, superando Selva di Tarnova.

Oltre alla Decima si aggregano all’operazione alcuni reggimenti di polizia germanica, ustascia, domobranci e cetnici.
Non fa parte dell’operazione invece la 188a divisione di montagna tedesca.
Come mai il comando tedesco scelse la zona di Tarnova per l’operazione? Soprattutto per la posizione geografica molto avanzata nei confronti dei nemici, delle sue vie di comunicazioni e delle posizioni di difesa in caso di sbarco angloamericano sulla costa adriatica.
L’operazione però ha un inzio difficile in quanto il vicecomandante della Decima Luigi Carallo cade il terzo giorno delle operazioni.
Tragica morte per opera degli jugoslava: ma il dramma però è che Carallo ha con sé una borsa di documenti, tra cui i piani dell’operazione Adler.
In particolare, i ribelli scoprono la cartina geografica con le direttive di marcia delle dieci colonne.

Gli jugoslavi ora sanno tutto ciò che dovrà accadere.

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