Fu costituito il 29 settembre 1943 a Pavia nella caserma Umberto I.
Comandante: capitano Manlio Mario Morelli, reduce dalla Russia.
Dal gruppo iniziale di 200 uomini, tutti del genio, si passerà a 4 compagnie (la prima “Aquila”, la seconda “Uragano”, la terza “Armi accompagnamento”, la quarta “Serenissima”) più la compagnia di comando.
Denominato “Tarigo”, prese la denominazione alpina nell’ottobre 1944.
Dopo un breve periodo in Piemonte partecipò alle operazioni in Carnia (novembre-dicembre 1944) e giunse nel goriziano in tempo per partecipare all’operazione per sbloccare i reparti del “Fulmine” a Tarnova.
A Bassano del Grappa nel marzo-aprile 1945 dove incorporò un reparto di ex-partigiani. Si arrese il 30 aprile 1945.
Nell’estate del ’43 si procede a ricostituire i due battaglioni guastatori del Genio Alpino. Gli uomini arrivano dai reduci e i superstiti della Russia e dall’Africa Settentrionale. Il XXX° (il comando del battaglione si era formato nel marzo del 1941 a Verona presso il 4° reggimento Genio, dove inquadra la 5a, la 6a e la 9a compagnia; il 20 luglio del 1942 furono messe alla dipendenze del Corpo d’Armata Alpino destinato alla Russia, le compagnie 6a Tormenta e 9a Valanga), e il XXXI° (le compagnie 1a Giaguaro, 2a Lupo, 7a Tigre e 8a Leone, riunite il 18 aprile del 1941 nel XXXI° Battaglione che, dalla Jugoslavia, venne trasferito in Africa Settentrionale vicino a El Adem, per l’azione di sfondamento su Tobruk). Il comando del XXX° dovrebbe essere affidato al cap. Astrella (guidava in Russia la 6a) e al maggiore Paolo Caccia Dominioni. Tutto però va allo sbando dopo l’8 settembre 43, per mancanza di ordini… Si arriva alla data del 21 settembre dove il colonnello Mario Ferrari (organizzatore della Scuola Guastatori del Genio di Banne), lancia l’appello ai guastatori per riprendere le armi, contro gli Alleati. L’appello è accolto da molti che si ritrovano a Pavia nella caserma Umberto I°. Dopo pochi giorni sono già circa duecento gli uomini a disposizione e si pensa di costituire un battaglione al comando del capitano Manlio M. Morelli. Il nome del battaglione e’ Valanga (in ricordo della 9a Compagnia Guastatori che Morelli aveva comandato sia sul fronte greco, poi albanese e in seguito russo).
Dopo aver prestato giuramento alla R.S.I., il capitano Morelli chiese al colonnello Ferrari (responsabile 19° Comando provinciale) l’autorizzazione di arruolare l’intero Valanga nella Decima Mas, comandata da Borghese. Avuto l’approvazione da Ferrari, Morelli chiese colloquio a Borghese per proporgli l’ingresso del Valanga nella Decima: Borghese diede dunque il suo consenso (20 marzo 1944). A fine mese il Valanga lasciò Pavia per recarsi per pochi giorni a La Spezia.
Il battaglione arriva a Jesolo nell’ex-colonia DUX (già presenti a Jesolo alcuni reparti degli N.P. e del gruppo di artiglieria Colleoni). Il morale del reparto e’ altissimo, e ai primi di giugno ogni uomo (nuove reclute comprese) è in grado di far brillare una carica e di sostenere l’urto provocata da 3 kg di tritolo che esplode a tre metri di distanza. In questo periodo il Valanga viene impiegato in compiti di difesa costiera. Sempre qui arriva l’ordine di cambiare il nome del battaglione da Valanga a Tarigo. In questo modo si voleva ricordare il sacrificio del comandante e dell’equipaggio del cacciatorpediniere Luca Tarigo, affondato nel 1941 nelle secche di Kerkennah dopo aver abbattuto, a sua volta, un cacciatorpediniere inglese.
Nel mese di giugno nasce la divisione Decima. Il Tarigo (Valanga), è nel secondo gruppo di combattimento con il Fulmine e il Sagittario. La divisione fu spostata in Piemonte nella zona di Ivrea e in altri piccoli centri del Canavese, perché la paura dei tedeschi era quella di una possibile invasione da quelle zone. Il Valanga (o Tarigo), arrivò a Ivrea (dove i rapporti con la popolazione erano buoni) ai primi di agosto, un mese dopo i fatti di Ozegna (dove per un vile agguato, al grido di “Barbarigo non si arrende”, cadde il Comandante Bardelli con altri marò), e si insediò sia nella caserma Val Calcino, sia in un’altra ubicata in periferia. Come primo compito fu assegnato al battaglione di assicurare il controllo della vecchia statale n°11 (Torino Ivrea), nel tratto tra Ivrea e Catellamonte . Pur non essendo stati addestrati a queste azioni, i guastatori si immedesimarono subito nella parte e bloccarono più di una volta le azioni di bande ostili (il Valanga dovrà lamentare i suoi primi caduti e qualche ferito). A circa metà agosto nelle zone presidiate dalla Decima era stato raggiunto un buon controllo: rimaneva solo una zona non controllata nell’alta valle dell’Orco. Qui l’11 agosto una colonna delle Brigate Nere fu bloccata sulla strada di Ceresole Reale (fu ferito anche Borghese ad un braccio). Reparti della Decima erano prontamente intervenuti (NP, Fulmine e Colleoni) e i banditi ritirarono verso il confine francese. Il Valanga venne inviato a controllare i versanti dei monti Unghiasse (2.939m) e Tovo (2.673m). A metà settembre gli uomini sfoderarono il cappello d’alpino, sostituito con il basco di ordinanza quando il battaglione cambiò nome. Morelli convinse Borghese che l’anima del battaglione era alpina e, pur con tutto il rispetto al cacciatorpediniere Luca Tarigo e al suo equipaggio, il battaglione voleva un nome alpino. Indi, il nome tornò ad essere Valanga. Nelle zone presidiate dai ribelli si iniziò una nuova operazione in val d’Ala di Viù: l’azione doveva essere svolta in contemporanea tra il Lupo (nella val di Viù) e il Valanga (rinforzato dalla seconda compagnia degli NP) era assegnata la val d’Ala: zona che fu occupata interamente a fine settembre, con la perdita però di alcuni alpini. Dopo aver lasciato la val d’Ala, il Valanga si spinse, senza nessun contatto con i banditi, a Pian della Mussa (1.752 m). Il 6 ottobre il Valanga (2 feriti) dopo 5 ore di combattimento raggiunsero le zone dei Laghi della Rossa (2.718 m) del rifugio Gastaldi (2.659 m): rifugio che fu bruciato per evitare il reinsediamento dei ribelli. Nei giorni successivi (2) il Valanga mandò pattuglie per recuperare eventuali materiali abbandonati. Le pattuglie dei guastatori si spinsero fino ai piedi dell’Uia di Ciamarella (.3676 m), rinvenendo tra l’altro due autocarri, tre auto e alcuni quintali di viveri. Dopo poco la situazione generale mutò: gli alleati non volevano passare per il Piemonte e i tedeschi permisero solo al Lupo di essere schierato sul fronte appeninico. Tutti gli altri reparti vennero trasferiti nel Veneto orientale: il Valanga tra il 20 e il 30 Ottobre raggiunse Vittorio Veneto (si sistemò nella scuola Francesco Crispi).
La difesa del territorio della Venezia Giulia da parte delle truppe repubblicane costituisce forse la parte più saliente delle operazioni del nord Italia; contro questa azione ci sono tre grossi “nemici”: gli Slavi, tutti gli Alleati che simpatizzano per Tito o forse per il reuccio Pietro II piuttosto che mostrare “comprensione” per l’Italia e i Tedeschi (o meglio gli Austriaci), i quali prendendo il controllo di quelle zone, volevano vendicarsi di Vittorio Veneto e azzerare i risultati (in parole povere strappare all’Italia i frutti della vittoria del 1918). Il Valanga giunse in diversi scaglioni a Vittorio Veneto. Riprese quasi subito il monotono lavoro di pattugliamento: la zona era quella a Fadalto, alle pendici del Consiglio, a sud, fino a Conegliano (dove era dislocato il comando della divisione). Nel mese di novembre, giunse a Vittorio Veneto una compagnia di marò al comando del STV Busca. Si addestrò e rimane fino alla fine con il Valanga e divenne la 4a Compagnia del Battaglione (ma conservò il nome di Serenissima).
Il comando Divisione DECIMA decise che la prima operazione doveva essere verso la cosiddetta “Zona libera della Carnia” (territorio tra le valli di Medusa e dell’Arzino). Zona sotto controllo di bande di banditi della Garibaldi e della Osoppo. Il comando DECIMA diede ordine al Fulmine di attaccare la zona della valle dell’Arzino, rastrellare i partigiani e occupare Toppo e Travesio. Al Valanga toccò la zona delle valli del Medusa, che raggiunse in data 28 novembre. Il 29 iniziò l’attacco su 3 direttrici: 1a e 4a Compagnia Serenissima a sinistra, la 2a Compagnia al centro, e a sinistra parte della 3a Compagnia (sulle pendici occidentali del monte Chiarandeit). Le due colonne laterali non ebbero gravi difficoltà a prendere la zona ma la 3a fu bloccata a Ponte Racli fino a che non fu raggiunta dal rimanente gruppo della 3a, e riuscì a scacciare i ribelli (al costo di tre feriti del Valanga). Il 30 tutto il battaglione si spostò a Tridis, e il 31 fu attaccata Tramonti di Sotto (Val Meduna). Una volta liberata la zona il Valanga iniziò il pattugliamento notturno e diurno delle zone della valle del Medusa, del Silisia e del Chiarzò. Ci furono degli scontri e quello più impegnativo fu quello a Palcoda dove una pattuglia della 2a Compagnia sorprese diversi ribelli in una baita, che fece prigionieri (con qualche perdita tra i ribelli). A metà dicembre il Valanga, dopo aver reso inutilizzabile il campo volo di Pradilera, ritornò a Vittorio Veneto.
Il 24 dicembre due compagnie del Valanga (1a e 4a), vennero trasferite a Gorizia per dare il cambio a 2 compagnie di N.P. che rientravano da Valdobbiadene. Il giorno dopo la 4a (Serenissima) lasciò Gorizia per costituire un caposaldo sul monte Santo, vicino all’abitato di Britovo. La 1a invece andò a presidiare Selva di Tarnova: ma la zona, vista la conformazione geografica, non era in grado di assicurare la necessaria protezione al battaglione. Il cap. Satta fece presente ciò al Comando chiedendo rinforzi. Il Comando inviò per alcuni giorni una unità del Barbarigo e una batteria del San Giorgio. Successivamente il 9 gennaio arrivò il Fulmine (tre compagnie) per sostituire le due del Valanga. Dopo dieci giorni da quanto previsto dal cap. Satta ebbe luogo: alle 4,00 del mattino iniziò l’attacco del IX Corpus a Tarnova. Prima fuoco di mortai poi un migliaio di uomini attaccarono le posizioni del Fulmine (che perse alcune posizioni ed ebbe 12 morti e 25 feriti, contro grosse perdite degli attaccanti). Per vari problemi di comunicazione, il comando Decima mandò due compagnie del Valanga (cap. Rota) e il Sagittario in soccorso al Fulmine (circa 600 uomini). Ma raggiungere la zona non fu semplice. Dei cinque autocarri, due esplosero su un campo minato e il resto fu sottoposto a violento fuoco di sbarramento (a circa 8 km da Tarnova). Gli uomini del Valanga reagirono prontamente e gli attaccanti ripiegarono. Una parte del battaglione tornò a Gorizia con i feriti e l’altra parte a piedi proseguì agli ordini del S. Ten. Pasella. Gli ordini erano cambiati: le due compagnie del Valanga e una del Barbarigo (arrivato da Gorizia) dovevano attaccare gli slavi sul monte s. Gabriele e s. Daniele, per lasciare una via di fuga al Fulmine da Tarnova a Aisovizza o Salcano. All’indomani del 20 Gennaio, gli slavi ripresero a martellare Tarnova. Il Fulmine mantenne le posizioni ma con un grave costo in fatto di uomini: 62 caduti e 27 feriti. Si persero anche un gran numero di armi e mezzi. Le perdite inflitte ai ribelli furono stimate in circa 180 caduti certi, 150 probabili e 300 feriti. Il 21 la situazione del Fulmine era tragica (anche a causa della scarsità delle munizioni): le fiamme avevano quasi del tutto raso al suolo Tarnova e si decise per una sortita. Una colonna di 81 marò con una sortita spezzò l’accerchiamento e arrivò al presidio tedesco di Aisovizza. Restavano a Tarnova solo 48 uomini (13 feriti). Questi ultimi resistettero fino alla fine. Nel mentre dopo l’attacco delle 4 del mattino il Barbarigo e il Valanga conquistarono il monte san Daniele. Il Valanga, insieme alla colonna tedesca Meit, raggiunse i difensori rimasi a Tarnova. Nell’ultima giornata dei combattimenti il Fulmine perse nove uomini. Successivamente a seguito degli attriti con le unità politico militari tedesche, la Divisione Decima lasciò Gorizia. Il 29 gennaio rientrarono a Vittorio Veneto le due compagnie del Valanga.
Al suo rientro dalla zona della Carnia a Vittorio Veneto, il Valanga trovò una situazione peggiorata, in quanto i banditi avevano rialzato la testa. Diversi marò caddero a seguito di imboscate. Ripresero dunque i pattugliamenti ma il Valanga era molto ridotto nei suoi organici (la 1a e 4a Compagnia Serenissima erano nel Goriziano): tutto ciò non impedì di continuare l’attività addestrativa. A metà febbraio un nuovo ordine di muoversi nella zona di Bassano del Grappa. Nel mentre del movimento arrivò l’ordine di assicurare la protezione del passo di san Boldo: la truppa (cap. Barbesino) stazionò a Sottocorda. Compito assegnato fu quello di coprire il passaggio di un battaglione di alpini diretti a Belluno. Nel successivo trasferimento per prendere posizione sul monte Cimone (da lì si controllava il Passo) ci fu uno scontro con una pattuglia di ribelli: dopo due ore il Valanga perse quattro uomini mettendo in fuga i superstiti dei banditi, raggiunse il Passo e assicurò il passaggio.
Il compito di Morelli, su ordine di Borghese, era quello di verificare le voci relative al fatto che i tedeschi avevano preso possesso di una nuova zona del territorio italiano. La zona comprendeva la provincia di Bolzano e quasi tutte quelle di Trento e Belluno (Alpenvorland). Con uno stratagemma Morelli si fece ricoverare a Cortina d’Ampezzo (all’istituto ortopedico Codevilla), e da lì fece dei viaggi nelle zone limitrofe. Quello che poi riferì segretamente a Borghese non fu nulla di buono, in quanto esisteva una propaganda per indurre le genti locali a chiedere l’annessione all’Austria (zone da Vipiteno, Brunico, Cortina e San Candido).
Con l’arrivo a Bassano, il morale del battaglione era alto in quanto era stato promesso al battaglione l’invio al fronte; nello stesso periodo tra una esercitazione e l’altra proseguivano i bombardamenti e i guastatori diedero una mano a trarre in salvo la popolazione sotto le macerie. Un fatto da ricordare è quello che si aggregò al battaglione una compagnia di circa 70 persone che catturate dalla Banda Carità che per non andare deportati in Germania si arruolarono nella RSI. Il 21 aprile gli americani dopo aver sfondato la linea gotica, erano a Bologna. Le città di Milano, Torino e Genova erano sotto il controllo partigiano. Il 28 il Valanga si era spostato a Marostica dove a Thiene sarebbe dovuto unirsi al 2° gruppo di combattimento. Ma qui ci si rese conto che non si poteva più raggiungere Venezia. Nella notte Marostica fu circondata dai partigiani, e le strade erano intasate dai tedeschi in fuga, e battute dagli aerei americani. Le scarse informazioni davano la Decima sciolta su ordine di Borghese. Morelli allora prese contatto con il comitato di liberazione ma si rifutò di passare dall’altra sponda: si preoccupò quindi della sorte dei suoi uomini. Fece sì che, dopo la consegna delle armi da parte del battaglione, questo si spostasse a Bassano. I partigiani, da parte loro, non attaccarono il Valanga e Morelli rimase come prigioniero. Il Battaglione al grido di DECIMA GUASTATORI! DECIMA COMANDANTE, si sciolse il 28 aprile 1945 (una parte di essi il 2 maggio si consegnò a Trento all’arcivescovo). Morelli dopo l’ultimo alzabandiera si consegnò ai partigiani; non ricevette nessun salvacondotto e dopo aver difeso i confini dell’Italia, subì la cancellazione del grado, delle medaglie e una condanna a 12 anni di carcere. Nel maggio 1945 molti guastatori riuscirono ad arrivare a casa: alcuni furono catturati dagli americani e dopo mesi di prigionia tornarono a casa. Ma i più sfortunati, due guastatori persero la vita uccisi dai partigiani.
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