Costituito a La Spezia nel novembre 1943 come “Battaglione Maestrale”, venne inviato a Cuneo, da qui rientrò a La Spezia nel gennaio 1944 ed assunse la definitiva denominazione. Il 20 febbraio lasciò La Spezia per il fronte di Nettuno ove si schierò il 4 marzo a fianco del 235° Reggimento tedesco.
Agli ordini del C.C. Bardelli poi, Cap. Vallauri e succesivamente T.V. Cencetti.
Organico: Comando e Compagnia Comando, Plotone arditi esploratori, 1a Compagnia “Decima” poi “Bardelli”, 2a Compagnia “Scirè”, 3a Compagnia “Iride”, 4a Compagnia “Tarigo” poi “San Giorgio”, 5a Compagnia cannoni, Compagnia Volontari “L’ultima”, Cpt. di formazione Mauro Berti, creata con 109 volontari, per intervenire sulla Tuscolana, Cinecittà.
Il battaglione “Barbarigo”, inizialmente denominato “Maestrale”, fu il primo reparto di Fanteria di Marina della “Decima” ad essere costituito.
Nacque a La Spezia, nella caserma di San Bartolomeo, nel novembre del 1943. Ne assunse il comando il capitano di corvetta Umberto Bardelli. Nel gennaio 1944, nel ricordo del sommergibile del comandante Enzo Grossi, gli fu attribuito il nome di “Barbarigo”.
Delle quattro compagnie su cui era ordinato, la 2a e la 4a erano state addestrate a San Bartolomeo, mentre la 1a e la 3a erano state trasferite per l’addestramento a Cuneo, alla caserma San Dalmazzo.
Alla metà di febbraio il battaglione si riunì nuovamente a La Spezia. Il 19 ricevette dal comandante Borghese la bandiera di combattimento e il giorno 20 partì per Roma.
A Roma sosta di alcuni giomi presso la caserma “Graziosi Lante”.
Il Barbarigo è un insieme di 1180 uomini; pochi mezzi scarsa preparazione e scarso armamento: qualcuno verrà fotografato al fronte con le stellette regie al posto del gladio.
Un capitano dei granatieri, Alberto Marchesi, diede modo al comandante Bardelli di completare l’equipaggiamento e l’armamento del battaglione attingendo dalla caserma “Ferdinando di Savoia’.
Il battaglione entra in linea a fine febbraio, settore sud, e viene inserito nella 715a divisione tedesca di fanteria. Il nemico di fronte è super addestrato: Rangers americani e canadesi.
Il “Barbarigo” è al fronte mentre era in corso la seconda controffensiva, e sostò per breve tempo a Sermoneta: dalla collina si vedevano le linee nemiche, pioveva, e il tempo rimase perturbato fino alla fine di marzo.
Il terreno, piatto e paludoso, era percorso da un groviglio di canali, fossi di bonifica e di irrigazione. La compagnia fu schierata sul tratto alto del Canale Mussolini (oggi Canale Italia), la 3a tra il fosso del Gorgolicino e la Strada Lunga, la 4a di qui fino al margine delle paludi: la 2a fu rimandata a Sezze per un corso di addestramento all’uso del panzerfaust e della mitragliatrice MG 42.
La prima ad essere attaccata fu la 3a compagnia. Gli americani impegnarono i marò con un attacco frontale, seguiti dai più aggressivi canadesi. La 2a compagnia diede il cambio alla 3a.
Alla fine di marzo, il battaglione SS italiane “Degli Oddi” rilevò lungo il Canale Mussolini la 1a compagnia, spostata a Terracina per addestramento e sorveglianza costiera. La 3a compagnia tornò in linea davanti al Cerreto Alto, tra la strada Nascosa e la litoranea.
Nel frattempo il “Barbarigo” provvedeva a dotarsi di una sua artiglieria, formando la 5a compagnia Cannoni, armata con pezzi da accompagnamento 65/17, prelevati dal Museo dei Granatieri.
A La Spezia si stava costituendo il Gruppo Artiglieria “San Giorgio” dotato di pezzi someggiati da 75/13. Il comando della Decima inviò al fronte di Nettuno il tenente di vascello Carnevali, comandante del Gruppo “San Giorgio”, per organizzare un gruppo di artiglieria da campagna. Formarono il gruppo una batteria da 105/28, una da 105/32 e una da 75/27.
Il 15 aprile ci fu un attacco di mezzi corazzati canadesi nel settore del fronte tenuto dalla 2a compagnia che perse i capisaldi “Erna” e “Dora”. Lo stesso giorno, al comando del tenente Giulio Cencetti, i marò riconquistarono i capisaldi persi nel precedente attacco. Il 19 aprile ci fu un altro attacco sul fronte della 2a compagnia.
Ai primi di maggio nuovi cambi in linea: la 4a compagnia sostituiva la 2a, la 1a dava il cambio alla 3a che si trasferiva a Terracina per sorvegliare la costa. Il 26 aprile il comandante Bardelli venne richiamato a La Spezia per assumere un incarico superiore.
Il tenente di vascello Vallauri sostituì Bardelli al comando del battaglione.
Ancora un attacco americano al fosso del Gorgolicino, tenuto dalla 4a compagnia. I marò resistettero agli assalti e contrattaccarono il nemico. Il 24 maggio il battaglione “Barbarigo” e il Gruppo d’artiglieria “San Giorgio” ricevettero l’ordine di ritirarsi.
Le tre compagnie in linea si sganciarono in direzione di Sermoneta e Bassiano.
La 2a fu attaccata da mezzi corazzati nei pressi di Cisterna, la 4a resistette agli attacchi nemici nell’abitato di Norma.
Gli artiglieri del “San Giorgio”, dopo aver esaurito tutte le munizioni a loro disposizione, fecero saltare le bocche da fuoco. La 3a compagnia ripiegava da Terracina ricongiungendosi al resto del battaglione.
La postazione del plotone comandato dal guardiamarina Alessandro Tognoloni (251 compagnia) venne accerchiata da carri Sherman americani. Al grido di “Decima! Barbarigo!”, i marò andarono all’assalto dei carri.
Tognoloni lanciò una bomba a mano e cadde colpito squarciato nel torace.
Prima di perdere i sensi scaricò i colpi della sua pistola e, vuoto il caricatore, la lanciò contro il carro avanzante.
Per gli atti di valore compiuti sul fronte di Nettuno gli fu concessa la Medaglia d’Oro.
Il 31 maggio il “Barbarigo” giunse a Roma e si radunò nella caserma di Maridist, in Piazza Randaccio. La sera del 4 giugno le avanguardie della 5a Armata americana entrarono in città (a porta San Paolo la folla era già in strada ad applauidire gli anglo-americani), primo fra tutti il 1° Distaccamento della Special Service Force a cui il “Barbarigo” si era opposto strenuamente per tre mesi.
La mattina del 5 giugno i resti del “Barbarigo” si inquadrarono e, divisi in piccoli gruppi, marciarono in direzione di La Spezia.
La gente li vide, li riconobbe… ci fù il gelo… un marò ebbe l’idea di lanciare in aria una manciata di caramelle alla folla.
Altri lo imitarono.
La gente iniziò a battere le mani… fu così che i resti del battaglione lasciarono la città… città che non li amava e per la quale si erano battuti, senza che glie lo avesse chiesto… Roma era stata per mesi alle loro spalle, muta ed ostile.
Il punto più pericoloso alla spalle della Wehrmacht è il Piemonte, nido di antifascisti in città e di ribelli in montagna.
Nel giugno 1944 la “Decima” concentrò i suoi battaglioni nell’alto Piemonte. Il “Barbarigo” è il battaglione che ha combattuto ad Anzio e che ha subito un duro salasso in tre mesi di linea. All’inizio i rapporti tra soldati e civili sono buoni, i marò fanno servizi di guardia e di ronda e il morale è alto.
Le genti dei villaggi ribelli del Canavese assistono stupiti all’arrivo di questi strani fascisti che non sembrano accorgersi della minaccia che li circonda, che entrano in 2 in 3 nelle taverne, nelle osterie dove da un momento all’altro possono arrivare i matteottini di Piero o i giellisti di Monti.
L’8 luglio Bardelli viene informato che il guardiamarina Oneto ha disertato con 10 marò armati, rubando la paga del battaglione.
Si organizza la squadra con a capo Bardelli e un gruppo di marò per il recupero: si rastrella la zona dove dovrebbe trovarsi il fuggitivo e si occupa la piazza di Ozegna. Oneto è alla stazione (a circa 200 mt.) che sta vendendo armi e altri oggetti per disfarsene e per racimolare denaro per tornarsene a casa.
Qualche partigiano interviene per trattenere i “venditori” in quanto ha già avvisato un distaccamento di matteottini. La volante di Piero (con il rinforzo di 2 squadre della 6a GL), vuole dare l’attacco al Barbarigo a Agliè.
Ma a Ozegna la volante si blocca perchè avvertita della volontà di Bardelli di recuperare i disertori.
I partigiani bloccano gli accessi alla piazza e circondano sul piazzale i disertori che si arrendono. Piero si fa avanti per parlamentare.
Non si sa quello che lui e Bardelli si dicano.
Bardelli (essendo circondato) da l’ordine in segno di pacificazione di disarmare le armi e butta la sua a terra.
Ma i partigiani stringono il cerchio intorno ai marò e agli ufficiali e puntano chiaramente a raccogliere le armi.
Bardelli capisce di essere caduto in un’imboscata.
Intimata la resa Bardelli risponde “Barbarigo non si arrende”.
L’imboscata tesa dai partigiani costò ai marò altri nove morti e numerosi feriti.
Alla salma di Bardelli i partigiani strapparono due denti d’oro e gli altri marò uccisi vennero rinvenuti lordati di letame.
Nei primi giorni dell’ottobre 1944, il “Barbarigo” mosse all’attacco dei partigiani attestati nella zona di Rimordono (Torino).
I marò sbaragliarono le formazioni avversarie, costringendo le bande a riparare in territorio francese.
Appena la Decima arrivò a Gorizia, ricevette dal comando tedesco i piani dell’operazione “Aquila”: manovra complessa che prevede l’impiego di diverse colonne contemporaneamente per circondare e distruggere il IX Korpus (nella zona, era gravissima la situazione determinata dalla pressione esercitata contro la frontiera italiana e sulla città di Gorizia dai partigiani sloveni del “IX Corpus” appoggiati da bande comuniste italiane). I reparti della Decima impegnati erano il “Sagittario”, il “Barbarigo”, il “Fulmine” e l’N.P., oltre ad una parte del genio “Freccia” e dell’”Alberto da Giussano” (artigleria).
Il “Barbarigo” (le azioni iniziarono il 19 dicembre) fu il primo reparto ad essere impiegato contro gli slavi, risalì la Biasima occupando l’abitato malgrado la strenua resistenza opposta dai partigiani. Poi occupò Cal di Canale, Localizza e Chiappavano.
Ai primi di febbraio 1945 la divisione “Decima” (nel mentre fu riorganizzata e divisa in 2 gruppi di combattimento. Il Barbarigo fu nel primo gruppo comandato dal capitano di corvetta Antonio Di Giacomo) lasciò Gorizia, ma il battaglione “Barbarigo” restò ancora qualche settimana nella zona a difesa dei confini orientali della Repubblica e sui monti San Marco e Spino respinse gli attacchi dei partigiani sloveni. Con un contrattacco, che impegnò tutte le compagnie del battaglione, ancora una volta i marò sconfissero il nemico.
A metà marzo giunse al battaglione l’ordine di trasferimento sul fronte sud. Il reparto partì da Vittorio Veneto il giorno 20 diretto a Rovigo.
Il giorno 26 passò da Ferrara, Argenta e Imola. Il giorno successivo entrò in linea alle dipendenze del comando “I° Gruppo di combattimento Decima”, comprendente oltre al “Barbarigo” il battaglione “Lupo”, il battaglione NP (Nuotatori Paracadutisti), il battaglione “Freccia” (Genio e Trasmissioni) e il Gruppo d’artiglieria “Colmino”.
Nella zona di Imola, dal 28 marzo al 4 aprile, il battaglione fu impegnato in un’intensa attività di pattuglia catturando numerosi prigionieri, appartenenti al gruppo “Friuli” dell’Esercito Regio.
Il 20 aprile, per l’arretramento del fronte, il battaglione iniziò il ripiegamento verso nord attraversando il fiume Po in località Oro.
A Santa Maria Fornace, i marò sostennero un violento scontro con reparti della brigata “Cremona” del Regio Esercito del sud (in uniforme britannica). Il 27 aprile il “Barbarigo” toccò Mondonovo giungendo in serata a Conserve.
Il giorno dopo il reparto proseguì verso Allignassero in direzione di Padova, affrontando presso il ponte del Basassero una postazione partigiana che fu sgominata dai marò della 2a compagnia.
Nella notte del 29 aprile il “Barbarigo” si schierò per ascoltare le parole del comandante del “I° Gruppo di combattimento Decima”, capitano di corvetta Di Giacomo, e di un ufficiale inglese rimase allucinato da quelle parole, volle intervenire per dire che anche lui aveva conosciuto un momento simile al loro, quando era stato fatto prigioniero a Tobruk.
Gli uomini del “Barbarigo”, dopo una notte praticamente insonne, inquadrati dai loro ufficiali, la mattina seguente entrarono a Padova armati, passando fra i reparti di carristi inglesi e neozelandesi che resero loro l’onore delle armi.
Il 30 aprile il battaglione si concentrò nella caserma “Pra della Valle” e venne considerato disciolto.
I marò furono avviati al 209 POW Camp di Afragola presso Napoli, dove rimasero circa un mese; da qui il 5 giugno furono trasferiti a Taranto e imbarcati sulla “Duchessa of Richmond” diretta in Algeria, destinazione il 211 POW Camp di Cap Matifou ad una trentina di chilometri da Algeri, in prigionia.
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